Come cambiano le percezioni nel tempo

 

Qualche giorno fa pensavo, come spesso mi capita, al passato. Stavo riflettendo sulle pieghe che la vita aveva preso a seguito di alcune decisioni cruciali, però pensavo anche che il tempo, a volte, ci inganna, fornendoci delle impressioni che a posteriori fatichiamo a capire come siano state elaborate in determinati momenti.

Cerco di spiegarmi meglio, anche se non è così semplice, devo entrare nella mente del "serial killer", quindi non si tratta di un percorso semplice, la logica è spesso contorta e il pensiero astratto domina quel poco di raziocinio che cerco di riscontrare nel percorso che mi ha condotto fino a qui. Senza tralasciare il fatto che, vivendo spesso di ricordi, almeno quando la testa è un pò più libera da pensieri di tipo organizzativo, trovare un filo conduttore che mi permetta di spiegare le mie riflessioni diventa quantomai complicato. Ecco, questo sta già mettendo le mani avanti, potrebbe dire un lettore che non mi conosce, eppure dietro una certa imperscrutabilità che mi contraddistingue, riesco a volte, probabilmente per una pura casualità, a compiere delle riflessioni che possono lasciare qualche spunto interessante.

Nello specifico penso a quando, intorno ai 20 anni, ho avuto la possibilità di diventare un tester di videogiochi per un'azienda tedesca, ma, preda dei miei demoni e delle mie paure, ho preferito rimanere nella "comfort zone" che mi ero costruito nella stanzetta dell'appartamento dove vivevo, un "hikikomori" a tutti gli effetti, prima ancora che il concetto venisse sdoganato. Due cose caratterizzavano la mia condizione di allora: una grande insicurezza e la paura di non essere accettato, in parte collegata alla prima. Mi sentivo inadeguato, incapace, senza quel barlume di ottimismo e senza quella voglia di mettersi in gioco che percepivo negli altri coetanei. Saranno stati sentimenti comuni alla mia generazione, in parte mutuati da una situazione economica parecchio difficile, per usare un eufemismo, diciamo anche che una certa mancanza di possibilità economiche dovute a una condizione familiare particolarmente complicata mi dava l'impressione di non avere i mezzi per poter combinare qualcosa di buono nella vita... Mi sentivo nella condizione di chi subisce il proprio destino, anziché di colui che prende la propria esistenza di petto, affrontando le cose con coraggio e abnegazione, nella speranza di ottenere il massimo risultato possibile.

E pensare che ora mi sento esattamente il contrario di quello che ero allora... 

Ma, tornando al discorso delle percezioni, c'è stato un episodio che ha contribuito a cambiare le mie, nel senso che è servito a darmi quella spinta che è stata utile per spronarmi ad andare avanti e cercare un senso alla vita. Non che abbia cambiato le percezioni che avessi di me, però mi ha dato una visione di come ero percepito dagli altri, confermando nei fatti quanto pensavo, e questo è servito a farmi uscire dalla "comfort zone" che mi ero costruito. La mancanza di confronto con gli altri era il motivo di questi miei pensieri brutti. Bisogna sempre cercare qualcosa che ci permetta di relazionarsi alle altre persone, non si può "vivere sempre nella propria mente", si generano mostri che poi ci condizionano e forse è ciò che accade alle persone che sviluppano delle patologie mentali. Probabilmente in quel periodo ero molto vicino a sviluppare un pensiero ossessivo se non compulsivo, avevo dei mantra che mi ripetevo continuamente nella testa...

Avevo poi elaborato delle routine: tra queste la principale consisteva nell'uscire le domeniche mattina molto presto quando non c'era nessun pericolo di incrociare qualche coetaneo conosciuto del mio quartiere con il quale avrei potuto confrontarmi, mostrando come era penosa e vuota la mia esistenza. Lo facevo per andare dal giornalaio e prendere i giornali con gli annunci lavorativi e, se riuscivo a racimolare qualche soldo, un fumetto ogni tanto. 

Una mattina incrocio il fratello di un ragazzo che abitava nella casa di fianco alla nostra. Di solito non ci vedevamo mai, era giusto capitato che mio padre gli avesse dato un passaggio a scuola quelle (rare volte) che mi accompagnava quando ero piccolo. Quindi se ci incontravamo per sbaglio ci salutavamo appena...

Eppure quello strano giorno in cui ci incrociammo per la strada, fu proprio lui a fermarmi. Sul momento mi ero anche un pò preoccupato, cosa cappero poteva volere da me questo semi-sconosciuto? Poi mi ha detto queste parole: "Esci solo di domenica, così non ti vede nessuno. Non vai mai in giro, sei chiuso nella tua stanzetta. Cerca di darti una mossa!". Queste parole mi spaventarono molto. Come faceva una persona che non frequentavo a sapere le mie abitudini e a dirmi esattamente com'era la mia vita...? Non so se fosse proprio lui a parlare oppure è capitato un transfert, anche se forse dal punto di vista della psicoanalisi non è il termine più corretto, ovvero la mia coscienza si era proiettata su quel ragazzo, che magari mi parlava di tutt'altro ma ero probabilmente arrivato a un punto di non ritorno: avevo bisogno che qualcosa o qualcuno mi sbloccasse e questo gli aveva fatto dire quello che serviva in quel momento per spronarmi... Però quell'episodio mi ha aiutato molto, con il senno di adesso è stato veramente il motore che mi ha portato a crescere e diventare quello che sono. 

Mi chiedo spesso se anche ad altri è capitato un evento nella vita che li ha fatti riflettere e ha dato loro lo sprone necessario per superare un momento difficile o semplicemente la forza per andare avanti... 

Eppure quelle poche parole dette in quello strano contesto hanno sortito l'effetto di darmi il coraggio necessario per dare una svolta a una vita che stava prendendo una brutta china. La verità è che la mancanza di confronto aveva alimentato le paure e insicurezze che penso tutti abbiano sperimentato nel corso dell'esistenza, però proprio il fatto di vedere e frequentare gli altri, soprattutto quando si hanno venti anni, permette di capire che bene o male siamo tutti sulla stessa barca. Qualcuno potrà iniziare il viaggio con un natante ben costruito, più sicuro e dotato di migliori ausili quando il mare diventa brutto, per continuare a utilizzare la metafora marinara. Altri avranno una bagnarola o se proprio va male un canotto (nel mio caso una zattera), però la capacità di riuscire a condurre in porto la propria vita è qualcosa che può essere appreso ma che richiede anche la volontà di provarci, di mettersi in gioco e di prendersi dei rischi.

In quel periodo avevo sviluppato tante paure e ricercavo la serenità di un porto sicuro che però non mi ero costruito, era uno spazio che vivevo e condividevo ma che mi stava molto stretto; dentro di me sentivo di non avere i mezzi necessari, soprattuto mentali, per poter prendere la mia strada e sviluppare un percorso che mi avrebbe condotto a dei traguardi importanti.     

Diciamo che ciò che mi distingueva da altri coetani era l'assenza di cattiveria, la mancanza di quella fame, di quella rabbia che bruciava in altri molto più intraprendenti e forti, almeno in apparenza, di quanto mi sentissi io... 

In più in quegli anni, stiamo parlando della metà degli anni '90, era considerato disdicevole e non appropriato, soprattutto per un ragazzo, mostrare le proprie fragilità e insicurezze. Si veniva da un'epoca di uomini tutti d'un pezzo, il modello imperante, figlio degli anni '80, anche se un pò in disarmo, era il macho pregno di testosterone, sicuro di sé, con la sigaretta a mezza bocca e la battuta sempre pronta. Le persone timide e impacciate non erano ben viste, erano considerate deboli, fragili, insignificanti... Quindi avevo anche questo timore: anche se avessi trovato dei coetanei particolarmente empatici, difficilmente sarei riuscito a mostrare le mie insicurezze, proprio per il fatto di non essere capito e di essere frainteso, visto che non si ancora sviluppata una mentalità più aperta e inclusiva verso chi non era conforme ai modelli imperanti all'epoca. Gli "uomini sensibili" non erano previsti...

(Continua...)

   

 

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